Cammino per il bazar di
questa città africana, sospinto dal vento di questa peregrinazione con la quale
celebro i 20 anni dal mio cammino di Santiago.
Mi trovo con Adam Fathi e
Samir Benali, due scrittori locali: a quindici chilometri ci sono le rovine di
Cartagine, che nel lontano passato fu capace di affrontare la potente Roma.
Passiamo vicino a un
bell’edificio: nel 1754, un fratello uccise l’altro. Il loro padre decise di
costruire questo palazzo per ospitarvi una scuola, mantenendo viva la memoria
del figlio assassinato. Il mio commento è che, in questo modo, anche il figlio
assassino sarebbe stato ricordato.
"Non è proprio cosí –
risponde Samil. – Nella nostra cultura, il criminale condivide la colpa con
tutti coloro che gli hanno permesso di commettere il crimine. Quando un uomo
viene ucciso, anche quegli che gli ha venduto l’arma è responsabile davanti a
Dio. L’unico modo che aveva il padre per emendare ciò che considerava un
proprio errore fu di trasformare la tragedia in qualcosa che potesse aiutare
gli altri: in luogo della vendetta che si limita al castigo, la scuola ha fatto
in modo che l’istruzione e la saggezza potessero essere trasmesse da piú di due
secoli."
Su una delle porte
dell’antica muraglia c’è una lanterna. Fathi commenta il fatto che io sia uno
scrittore ormai noto, mentre lui si sta ancora battendo per un riconoscimento:
"Qui risiede l’origine
di uno dei piú celebri proverbi arabi:
“La Luce illumina solo lo Straniero”.
Dico allora che anche
Gesú fece lo stesso commento: "nessuno è profeta nella propria terra". Noi
tendiamo sempre a valorizzare quello che viene da lontano, senza mai
riconoscere tutto ciò che di bello esiste intorno a noi.
Sí, può darsi che
illumini soltanto lo straniero, ma questo fa davvero una grande differenza
quando siamo posseduti da questo enorme amore per ciò che facciamo?
Grazie a Dio, la sala è
affollata per la conferenza in questo paese africano.
Comincia la conferenza.
Le presentazioni durano al massimo cinque minuti, e ora mi rimangono 45 minuti
per dialogare apertamente.
C’è la prima domanda di
una giovane: che cosa sono i segnali di cui parlo tanto nei miei libri? Spiego
che si tratta di un linguaggio estremamente personale che sviluppiamo nel corso
della vita, attraverso le azioni corrette e gli errori, finché ci rendiamo
conto del momento in cui Dio ci sta guidando.
A un’altra domanda – se è stato
un segnale a portarmi in questo paese lontano – rispondo che sí, sto
facendo un viaggio di 90 giorni per celebrare i miei 20 anni dal pellegrinaggio
lungo il Cammino di Santiago.
La conversazione
continua, il tempo passa rapidamente, e devo riprendere il mio discorso. Scelgo
a caso, fra 600 persone, un uomo di mezza età, con un paio di baffoni, per
l’ultima domanda.
E questi dice:
"Non voglio fare
nessuna domanda. Voglio solo pronunciare un nome."
E dice il nome di una
piccola cappella, situata in un luogo sperduto, a migliaia di chilometri dal
posto in cui mi trovo, dove un giorno deposi una targa come ringraziamento per
un miracolo. E dove sono andato, prima di iniziare questo pellegrinaggio, a
chiedere alla Vergine di proteggere i miei passi.
Ormai non so piú come
continuare la conferenza. Le parole che
seguono sono state scritte da Adam Fethi, uno degli scrittori che componevano
il tavolo:
“E all’improvviso
l’Universo in quella sala era come se avesse cessato di muoversi. Tante cose
accaddero: io vidi le tue lacrime. E vidi le lacrime della tua dolce moglie,
quando quel lettore anonimo pronunciò il nome di una cappella sperduta in
qualche luogo del mondo.
“Tu perdesti la voce. Il
tuo viso sorridente si fece serio. I tuoi occhi si riempirono di lacrime
timide, che tremolavano sull’orlo delle ciglia, come se si scusassero di stare
lí senza essere invitate.
“Allora cercai di
fissarmi su Christina, chiedendo aiuto, tentando di capire che cosa stava
succedendo, come interrompere quel silenzio che sembrava infinito. E vidi che
anche lei piangeva, in silenzio, come se fossero note di una stessa sinfonia, e
come se le vostre lacrime si sfiorassero, malgrado la distanza.
“E in quei lunghi
secondi ormai non esistevano piú né sala, né pubblico né altro.
Tu e tua moglie
eravate partiti verso un luogo dove nessuno poteva seguirvi: ciò che esisteva
era solo la gioia di vivere tutto questo, che veniva raccontato solo con il
silenzio e l’emozione.
“Le parole sono lacrime
che sono state scritte. Le lacrime sono
parole che hanno bisogno di sgorgare. Senza di esse, nessuna gioia possiede un
fulgore, nessuna tristezza ha una fine. Dunque, grazie per le tue lacrime”.
Avrei dovuto dire alla
giovane che aveva posto la prima domanda – quella sui segnali – che lí c’era
uno di loro, che affermava che io mi trovavo nel luogo in cui sarei dovuto
stare, al momento giusto, malgrado io non abbia mai capito bene cosa mi abbia
portato fin lí.
Ma penso che non sia
stato necessario: lei deve averlo capito.
Aleph – P. Coelho