C’era una volta, qualche giorno fa, un uomo che possedeva una grande pietra che macinava il grano e lo riduceva in farina per gli abitanti del villaggio. Erano tempi duri per il mugnaio, al quale non erano rimasti che la macina e un grande melo fiorito dietro al capannone.
Un giorno, mentre con la sua accetta d’argento era nel bosco per tagliare i rami secchi degli alberi, uno strano vecchio spuntò dietro a un albero.
“Non c’è alcun bisogno di torturarsi spaccando legna” lo lusingò il vecchio. “Ti farò ricco se solo mi darai quel che si trova dietro al mulino”.
Che c’è dietro al mulino se non il melo fiorito? Pensò il mugnaio, e accettò l’affare proposto dal vecchio.
“Tra tre anni verrò a prendere ciò che è mio”, ridacchiò lo straniero, e zoppicando sparì nel folto degli alberi.
Il mugnaio incontrò la moglie sul sentiero. Era corsa fuori dalla casa con il grembiule svolazzante e i capelli scompigliati. “Marito, marito mio, ai rintocchi del mezzogiorno, nella nostra casa è arrivato un orologio più bello sulla parete,le sedie rustiche sono state sostituite da sedie ricoperte di velluto, la povera dispensa è piena di selvaggina, casse e bauli traboccano. Dimmi, ti prego, come è potuto accadere tutto ciò?” e in quel preciso istante le sue dita si ornarono di anelli d’oro e i suoi capelli si raccolsero in un cerchietto d’oro.
“Ah!” esclamò il mugnaio guardando con meraviglia il suo farsetto diventato di raso. Sotto i suoi occhi gli zoccoli dai tacchi così consunti che camminava all’indietro, si trasformarono in bellissime calzature. “E’ per via di uno straniero” raccontò affannosamente “nel bosco ho incontrato uno strano tipo coperto da uno scuro mantello che mi ha promesso grandi ricchezze se gli avessi dato quel che sta dietro al mulino. Posso sempre piantare un altro melo!”.
“Oh, marito mio!” gemette la moglie, e pareva colpita a morte. “L’uomo dal mantello era il Demonio, e dietro al mulino c’è nostra figlia a spazzare il cortile con una ramazza di salice”.
E così i genitori corsero a casa, e piansero amare lacrime su tutti i loro fronzoli.
La figlia rimase senza maritarsi per tre anni, e la sua indole era come le prime dolci mele della primavera.
Il giorno in cui il Diavolo venne a prenderla, fece il bagno e indossò un abito bianco e restò nel cerchio di gesso che si era disegnata attorno. Quando il Diavolo volle afferrarla, una forza invisibile lo scaraventò oltre il cortile.
Urlò il Diavolo: “Non dovrà mai più fare il bagno, altrimenti non posso avvicinarmi a lei”. I genitori rimasero terrorizzati e così passarono alcune settimane, e la fanciulla non fece il bagno finchè i suoi capelli non furono tutti arruffati, e le unghie nere, e la pelle grigia, e gli abiti anneriti e induriti dalla sporcizia.
Allora il Diavolo tornò. Ma la fanciulla si mise a piangere e le lacrime scivolarono sul palmo delle mani e lungo le braccia. Ora le mani e le braccia erano di un bianco purissimo e pulite.
Il Diavolo montò in collera: “Tagliatele le mani, altrimenti non potrò avvicinarmi a lei”. Il padre era sconvolto dall’orrore. “Vuoi che tagli le mani a mia figlia?”.
Il Diavolo urlò: ” Tutto qui morrà, anche tu, tua moglie e tutti i campi all’intorno”.
Il padre fu così terrorizzato che ubbidì, e chiedendo perdono alla figlia prese ad affilare la sua accetta dal filo d’argento.
La figlia si rassegnò e disse: “Sono tua figlia, fa’ come devi”. E questo fece, e alla fine non si poteva dire se urlava più forte la figlia o il padre. Così terminò la vita della fanciulla come lei l’aveva conosciuta.
Quando il Diavolo tornò, la fanciulla aveva tanto pianto che i tronconi rimasti erano di nuovo puliti, e il Diavolo venne di nuovo lanciato oltre il cortile quando cercò di afferrarla. Imprecando con parole che accesero piccoli incendi nel bosco, scomparve per sempre, poiché non aveva più alcun diritto su di lei.
Il padre aveva ormai cent’anni, e la moglie anche. Il vecchio padre offrì alla figlia di vivere in un castello di grande bellezza e ricchezza per tutta la vita, ma la figlia disse che preferiva fare la mendicante e dipendere dalla bontà altrui per il sostentamento. E così le avvolsero le braccia in una garza pulita, e all’alba si allontanò dalla vita quale l’aveva conosciuta.
Camminò e camminò. La calura fece sì che il sudore striasse la sporcizia sulla faccia. Il vento le scarmigliò i capelli, che diventarono come il nido di una cicogna fatto di ramoscelli intrecciati alla meglio. Nel pieno della notte arrivò a un frutteto reale in cui la luna aveva poggiato un barlume di luce sui frutti che pendevano dagli alberi.
Non poteva entrare, perché il frutteto era circondato da un fossato pieno d'acqua. Cadde in ginocchio, perché moriva di fame.
Un fantasma bianco apparve e sollevò la paratoia, così il fossato si svuotò. La fanciulla camminò tra i peri, e in qualche modo sapeva che ogni pera perfetta era stata contata e numerata, e qualcuno le custodiva. Un ramo si piegò così basso che potè prenderlo. Poggiò le labbra sulla buccia dorata di una pera e la mangiò stando lì in piedi nel chiarore lunare, con le braccia avvolte nella garza, i capelli scarmigliati, con l’aspetto di una donna di fango, la fanciulla senza mani.
Il guardiano vide tutto, ma riconobbe la magia dello spirito che custodiva la fanciulla, e non intervenne. Quando ebbe finito di mangiare quell’unica pera, la fanciulla attraversò il fossato e andò a dormire al riparo degli alberi.
La mattina dopo il re arrivò per contare le pere. Scoprì che ne mancava una.
Quando venne interrogato il custode spiegò: “Due spiriti prosciugarono il fossato, entrarono nel giardino mentre alta era la luna, e una senza braccia mangiò la pera che gli si offriva”.
Il re disse che quella notte avrebbe vegliato. A notte arrivò insieme al suo giardiniere e al suo mago, che sapeva parlare agli spiriti. I tre sedettero sotto un albero e rimasero in osservazione. A mezzanotte, la fanciulla arrivò fluttuando dal bosco, con indosso vecchi stracci sporchi, i capelli arruffati, il volto striato, le braccia senza mani, e lo spirito bianco accanto a lei. Entrarono nel frutteto come l’altra volta.
Di nuovo, l’albero gentilmente si piegò perché potesse raggiungerlo e lei gustò la pera all’estremità del ramo.
Il mago si avvicinò, ma non troppo, e domandò: “Sei di questo mondo o non di questo mondo?”.
E la fanciulla rispose: “Un tempo ero del mondo, e cionondimeno non sono di questo mondo”.
Il re interrogò il mago: “E’ un essere umano o uno spirito?”. Il mago rispose che era tutte e due le cose. Il cuore del re sobbalzò ed egli corse verso di lei e le disse a gran voce: “Non ti abbandonerò. Da oggi in poi mi prenderò cura di te”.
Al castello fece fare per lei due mani d’argento, che furono fissate alle sue braccia. E fu così che il re sposò la fanciulla senza mani.
Dopo qualche tempo, il re dovette muover guerra a un regno lontano, e chiese alla madre di prendersi cura della sua giovane moglie, poiché l’amava con tutto il cuore. “Se darà alla luce un bambino, inviami immediatamente un messaggio”.
La giovane regina diede alla luce un bel bambino e la madre del re inviò subito un messaggero per dargli la buona notizia. Ma lungo la via il messaggero si sentì stanco e insonnolito, e cadde in un sonno profondo accanto alla riva di un fiume. Il Diavolo spuntò da dietro un albero e cambiò il messaggio: diceva che la regina aveva partorito un bambino che era per metà cane.
Il re rimase sconvolto, ma inviò un messaggero dicendo di amare la regina e di prendersi cura di lei il quel terribile momento. L’uomo che portava il messaggio di nuovo arrivò al fiume e cadde in un profondo sonno. Al che il Diavolo tornò e cambiò il messaggio: “Uccidete la regina e il suo bambino”.
La vecchia madre rimase sconvolta dalla richiesta e inviò un messaggero per avere la conferma. I messaggeri andarono e tornarono, sempre addormentandosi vicino al fiume, col Diavolo che cambiava i messaggi rendendoli sempre più terribili; l’ultimo diceva: “Conserva la lingua e gli occhi della regina come prova che è stata uccisa”.
La vecchia madre non se la sentiva di uccidere la dolce giovane regina. Sacrificò invece una daina, ne prese la lingua e gli occhi e li nascose. Poi aiutò la giovane regina a legarsi il piccolo al petto, la ricoprì con un velo e le disse che doveva fuggire per salvarsi la vita. Le donne piansero e si abbracciarono, nella speranza di rivedersi.
La giovane regina vagò finchè arrivò alla più grande e selvaggia foresta che avesse mai visto. Si aggirò intorno alla ricerca di un sentiero per penetrarvi.
All’imbrunire riapparve il solito spirito bianco e la guidò fino a una povera locanda tenuta da gentili abitatori del bosco. Una fanciulla dall’abito bianco fece entrare la regina e la chiamò per nome. Il bimbo venne messo a giacere.
Così la regina rimase sette anni alla locanda, ed era felice con il suo bambino e della sua vita. Pian piano le mani ripresero a crescere, prima come piccole mani di bambina, rosee come le perle, e poi come mani di ragazza, e infine come mani di donna.
Intanto il re era tornato dalla guerra, e la vecchia madre gli domandò piangente: “Perché hai voluto che uccidessi due innocenti?” e gli mostrò gli occhi e la lingua. Udendo la terribile storia, il re vacillò e pianse un pianto inconsolabile. La madre vide il suo dolore e gli raccontò la verità.
Il re decise di partire immediatamente, senza mangiare né bere, e di viaggiare fino in capo al mondo per ritrovarli. Per sette anni continuò a cercare.
Le sue mani divennero nere, la barba scura come torba, gli occhi cerchiati di rosso e riarsi. Per tutto quel tempo, non mangiò né bevve, ma una forza più grande di lui lo aiutava a vivere.
Alla fine giunse alla locanda. La donna con l’abito bianco lo fece entrare, e lui si sdraiò, stanco. La donna gli pose un velo sulla faccia e lui si addormentò.
Mentre il respiro diventava profondo, il velo lentamente gli scivolò dalla faccia. Si risvegliò per trovare accanto a sé una bellissima donna e uno stupendo bambino che lo guardavano. “Io sono la tua sposa e questo è tuo figlio”. Il re avrebbe voluto crederle, ma la fanciulla aveva le mani.
“Per le mie fatiche e la mia cura, le mani mi sono ricresciute”, disse la fanciulla. E la donna con l’abito bianco portò le mani d’argento riposte come un tesoro in un cassettone.
Il re si levò e prese tra le braccia la regina e suo figlio e quel giorno ci fu grande gioia nel bosco. Tutti gli spiriti e gli abitanti della locanda parteciparono a uno splendido festino. Poi il re, la regina e il bambino tornarono dalla vecchia madre, festeggiarono un altro sposalizio ed ebbero molti bambini, i quali raccontarono questa storia a centinaia di altri, che raccontarono questa storia a centinaia di altri ancora, come voi siete tra le altre centinaia a cui la racconto.
Quale baratto maldestro fanno le donne? Accettiamo il baratto quando cediamo la nostra vita sapiente, consapevole, in cambio di una molto più fragile, quando rinunciamo ai denti, agli artigli, al nostro senso, al nostro odorato.
L’iniziazione di una donna comincia con il maldestro baratto accettato quando ancora sonnecchiava. In uno stato di dormiveglia psichico assai simile al sonnambulismo.
Il racconto inizia con il tradimento non intenzionale ma tremendo del femminino, dell’innocente. A nessun essere senziente è concesso di rimanere per sempre innocente in questo mondo. Per crescere, dobbiamo affrontare il fatto che le cose non sono come sembrano. La perdita e il tradimento sono i primi passi malfermi del lungo processo iniziatico che ci sospinge nella selva subterranea, l’oltretomba della nostra psiche.
Lì possiamo superare le mura che ci siamo costruite.
La storia comincia con il simbolo del mulino e del mugnaio. Come questi, la psiche macina idee. Ma nella storia il mulino non macina, nulla si fa dei materiali grezzi che arrivano ogni giorno nella nostra esistenza e la psiche smette di nutrirsi in modo critico. La vita creativa della psiche si trova a un punto morto.
Immaginiamo che in quel periodo ci venga offerto qualcosa gratuitamente. Quando una donna rinuncia agli istinti che le dicono quando è il momento giusto per dire sì e quando per dire no, quando abbandona l’introspezione, l’intuito e tutti gli altri suoi caratteri selvaggi, allora si ritrova in situazioni che promettevano meraviglie e in realtà danno sofferenza.
Il Diavolo rappresenta la forza predatrice della psiche, la forza oscura, che in questo racconto non viene riconosciuta per quello che è. Il melo fiorito è una metafora del bisogno creativo intensamente sensuale e della maturazione delle idee. Constatiamo la devastante disistima della psiche per il valore del femminino primordiale elementare, quando il padre dice: “Potremo certo piantarne un altro”.
Il giovane Io viene svenduto, senza che se ne riconosca il grande valore. Ma è proprio da questa frattura della conoscenza che prende avvio l’iniziazione alla resistenza.
Il mugnaio taglia la legna: la psiche comincia ad affrontare la durissima fatica di portare luce e calore a se stessa. Quando il Diavolo dice di poter risparmiare la fatica, il mugnaio accetta, sentendosi sollevato che esista un sistema più facile: ma non esiste trasformazione senza fatica.
Arriva la crisi quando siamo in attesa di quel che, ne siamo certe, sarà la nostra distruzione, la nostra fine. Allora, come la fanciulla, drizziamo le orecchie per sentire una voce lontana, che ci dice di essere forti, e come mantenere lo spirito semplice e puro.
Se ascoltiamo le voci dei sogni, le immagini, coloro che se ne sono andate prima di noi, qualcosa arriva, il personale rito psicologico che serve a consolidare questa fase del processo.
Porre attorno a sé la protezione della Madre Selvaggia - il cerchio di gesso - permette che la discesa psicologica continui senza deviazioni.
La fanciulla lacrima sulle sue mani. Le lacrime sono una germinazione di ciò che purifica la ferita che le è stata inferta. Le lacrime aiutano ad accomodare le lacerazioni della psiche, là dove l’energia è colata via. Le lacrime ci rendono consapevoli, poichè non è possibile riprendere a dormire quando si piange.
Il Diavolo non può avvicinarsi all’Io selvaggio, la cui purezza respinge l’energia distruttiva. Allora ordina al padre di mutilare la figlia, vuole che perda le mani, cioè la capacità psichica di afferrare, trattenere, aiutare se stessa e gli altri. Nel perdere le mani, la donna compie il cammino dell’iniziazione.
Le mani vengono recise per prendere le distanze dalle seduzioni, dalle cose insignificanti a portata di mano, che ci impediscono di crescere.
L’albero fiorito deve subire l’amputazione.
E’ dunque giusto continuare a piangere, le lacrime sono il muro d’acqua che tiene lontano il Diavolo, perché c’è qualcosa nella purezza delle lacrime sincere che spezza il suo potere. Essere un albero fiorito e umido è fondamentale, altrimenti ci si spezza.
A questo punto, si produrrà un cambiamento nella nostra esistenza, la nostra vita come la conoscevamo è finita. Desideriamo essere sole, essere lasciate in pace.
Non possiamo più fare affidamento sulla cultura paterna dominante, stiamo per la prima volta imparando la nostra vera vita.
L’iniziazione è un processo mediante il quale abbandoniamo la nostra inclinazione naturale a restare inconsapevoli e decidiamo di perseguire, anche se dovremo lottare e soffrire, un’unione conscia con la mente più profonda.
La fanciulla diventa una vagabonda, e questa è una resurrezione a una nuova vita.
In questa fase le donne spesso cominciano a sentirsi disperate e insieme decise a continuare il viaggio. E così lasciano una vita per un’altra, una fase dell’esistenza per un’altra, un’amante per nessun altro amante.
Quando discendiamo nella natura primaria, i vecchi modi automatici di nutrirsi sono eliminati, le cose del mondo perdono il loro sapore, per noi non c’è cibo.
La fanciulla è visitata dallo Spirito Bianco, un emissario dell’anima, che rimuove le barriere che le vietano di nutrirsi. Lo spirito scorta la fanciulla attraverso il regno sotterraneo degli alberi.
Nei tempi più bui l’inconscio femminile, la Natura, nutre l’anima della donna: il pero del frutteto si china per dare alla fanciulla il suo frutto. La discesa nutrirà, anche se è buio, anche se si ha la sensazione di aver perduto la strada.
Ci nutriamo del corpo della Madre Selvaggia, mangiamo quel che diventeremo.
I tre attributi maschili della psiche femminile - il giardiniere, il re, il mago- sono coloro che osservano, interrogano e aiutano la donna nel suo viaggio nell’inconscio.
Mediante il simbolo rotondo del fiume, il fossato, il racconto ci avverte che quest’acqua non è un’acqua qualsiasi, è un confine; oltrepassandolo si entra in un altro stato dell’essere. L’acqua del fiume non va bevuta. Non dobbiamo giacere e addormentarci su quanto è stato tanto difficile raggiungere, né saltare nel fiume nel folle tentativo di accelerare il processo. Dobbiamo passare nel letto prosciugato.
Il mago dice che la fanciulla è sia un essere umano che uno spirito: vive nei giorni del mondo di sopra, ma il lavoro di trasformazione avviene nel mondo sotterraneo.
Quando una persona si trova in questo stato di duplice cittadinanza, può commettere l’errore di pensare che sia una buona idea allontanarsi dal mondo, dalla vita mondana, con tutte le sue fatiche e i suoi doveri.
Invece, in questi momenti, il mondo esterno è l’unica fune rimasta alla caviglia di chi penzola nell’oltretomba. Questa fatica di vagare in due mondi ci porta ad abbandonare le paure e le ambizioni dell’Io per seguire semplicemente ciò che arriva.
Il re lancia un’occhiata alla fanciulla e immediatamente, senza alcun dubbio, la ama come fosse sua. La riconosce come sua, nonostante il fatto che sia una selvaggia vagabonda senza mani.
Anche se vaghiamo sporche, vestite di stracci, e senza mani, una gran forza dell’Io può amarci, ci stringe al suo cuore. Ora la psiche è più conscia, avverrà lo sposalizio tra due parti così disparate, due vite energiche ma dissimili sono unite.
Il re si sposa e deve subito partire per andare lontano: l’energia regale della psiche ricade, in modo che possa verificarsi il passo successivo del processo, e sia sottoposta a debita prova la posizione psichica appena trovata dalla donna.
Quando sentiamo una minore vicinanza del sostegno, sta per cominciare un periodo di prova, durante il quale ci sarà chiesto di nutrirci soltanto della memoria dell’anima.
I nostri sogni sono il solo amore che per qualche tempo avremo.
Il contributo psichico del re è mantenuto dall’amore e dalla memoria.
Spesso, in questo periodo, la donna è ricolma di un’idea nascente su quello che la sua vita può diventare se persevera nel lavoro. Per via dell’esplosione di vita nuova, di nuovo salta nell’abisso. Ma questa volta, l’amore del maschile interiore e dell’Io Selvaggio la sosterranno come mai era accaduto prima.
L’unione del re e della regina produce un bambino magico, che ha tutto il potenziale del mondo sotterraneo. Partorire significa divenire se stesse, un unico Io, una psiche integrata, non divisa. Un nuovo Io avanza.
La madre del re è la Lupa, La Que Sabe.
Quando nasce l’Io bambino, la regina Madre invia un messaggio al re, ma il messo che dovrebbe collegare e rendere possibile la comunicazione tra queste due componenti della nuova psiche non sa ancora difendersi dalla forza distruttiva/seduttiva della psiche.
Si addormenta, e il Diavolo affamato è in agguato.
Egli trasforma un messaggio che doveva provocare amore e festa, in uno che provoca disgusto. Il Diavolo si fa beffe di noi: “Sei tornata all’ingenuità e all’innocenza, ora che sei amata? Pensi che sia tutto finito, stupidissima donna?”.
Questo è l’errore: dimenticarsi dell’esistenza del Diavolo.
Il predatore interno alla psiche è abile nel travisare le percezioni umane e le comprensioni vitali che ci servono per sviluppare dignità morale, prospettiva visionaria e azione adeguata, nella nostra vita e nel mondo.
Egli tramuta i messaggi portatori di vita tra l’anima e lo spirito in messaggi portatori di morte, che ci spezzano il cuore, provocano vergogna e ci inducono a non fare l’azione giusta.
Comunque, la madre del re vede bene cosa sta accadendo e si rifiuta di sacrificare la figlia. Non cede. La Donna Selvaggia sa come trattare il predatore.
Le donne imparano a cercare il predatore invece di cercare di scacciarlo, ignorarlo e mostrarsi gentili con lui. Apprendono i suoi trucchi, i suoi travestimenti, il modo in cui pensa. Allora, sia che il predatore nasca all’interno, sia che venga dalla cultura esterna, saremo capaci di tenergli testa.
E’ un fatto psichico che quando si dà vita a qualcosa di bello, emerge anche qualcosa di meschino, qualcosa di invidioso, che manca di comprensione o ostenta disprezzo.
L’antidoto è la Consapevolezza dei propri punti deboli e delle proprie doti, così che il complesso non possa agire per conto proprio.
Quando una donna prosegue nel suo cammino, lavora bene, pensando ai casi suoi, all’improvviso ecco che salta fuori il Diavolo, che mente e dice che il tempo trascorso dalla donna nel mondo sotterraneo ha prodotto un mostro, mentre in realtà ha prodotto uno splendido bambino.
Occorre moltissima fede per continuare, ma dobbiamo farlo, e lo faremo.
Il re della nostra psiche ha coraggio. Non si piegherà al primo colpo. Non si accartoccerà nell’odio e nel castigo, come spera il Diavolo. Il re è sconvolto dal messaggio, ma dice di volere prendersi cura della regina e del bambino.
Possono due forze restare collegate, anche se una è considerata abominevole e spregevole? Possono restare accanto, indipendentemente da tutto? La risposta è sì.
Quando il messaggero chiede di uccidere la regina e il bambino, la madre del re oppone un netto rifiuto. Il predatore spera che la psiche uccida in sé l’aspetto appena risvegliato, quello della Donna Sapiente.
Ma essa dice: “E’ troppo, non posso sopportarlo.” E comincia ad agire con maggiore astuzia.
La madre invia la giovane in un altro luogo simbolico dell’iniziazione, il bosco. Il Diavolo ci fa sentire l’esigenza di alzarci e correre al luogo successivo di iniziazione, che ci insegnerà i cicli finali della vita femminile.
Coperta da un velo, la fanciulla se ne va nel bosco, con il suo bambino al seno. Il velo segna la differenza tra nascondersi e travestirsi.
E’ il simbolo della concentrazione in se stesse. Dobbiamo tenerci stretta l’energia vitale e non cederla a chiunque la chieda, a qualunque ispirazione ci colga.
Mettere un velo su qualcosa ne aumenta l’azione e il sentimento. La fanciulla del racconto, velata, è intoccabile, è di nuovo protetta.
Siamo protette da una solitudine superiore, sontuosa, che ci nutre e ci dà saggezza.
I divertimenti del mondo di sopra non ci abbagliano più.
Siamo meli in fiore, in movimento, alla ricerca della foresta alla quale apparteniamo.
In questo periodo siamo incaricate di ricordare, di persistere nel nutrimento spirituale, anche se siamo separate da quelle forze che ci hanno sostenuto in passato.
Se restiamo in un luogo preferito della psiche, l’individuazione procede faticosamente e lentamente. Le forze sacre vanno abbandonate, almeno temporaneamente, perché possa verificarsi la fase successiva.
La Regina resta sette anni nella locanda del bosco, lentamente le ricrescono le mani. Lo Spirito Bianco che la guida e che la protegge è la vecchia Madre Selvaggia, la psiche istintuale che sa sempre cosa sta per accadere.
Nel periodo in cui rimane nel bosco alla fanciulla ricrescono le mani. Mentre le mani diventano quelle di una ragazza, sviluppa una comprensione completa ma non assoluta di ogni cosa. Quando infine divengono mani di donna, ha una presa esperta e più profonda sul non concreto, il metaforico. Allora la donna comprende di riavere una presa sulla sua vita, e mani per rimodellarla. E’ maturata, ora è davvero “dentro di sé”.
Anche la ricerca del re dura sette anni. Alla fine c’è una festa spirituale.
Il re, la regina e il bambino tornano dalla madre del re, e si celebra un nuovo sposalizio. Alla fine, la donna che ha compiuto la discesa, ha mescolato quattro poteri spirituali: l’animo regale, l’Io bambino, l’antica Madre Selvaggia e la ragazza iniziata. Sono questi quattro poteri a dirigere la psiche.
La fanciulla non è più la donna che il re ha sposato, non è più la fragile anima vagante. Ora conosce i suoi modi di donna, in tutte le questioni. Ha le mani.
Una delle cose sorprendenti di questa lunga iniziazione è che la donna che la affronta continua a vivere regolarmente all’esterno: ama gli amanti, partorisce figli, rincorre l’arte, si preoccupa del cibo, dipinge, lavora a maglia, lotta, seppellisce i morti, esegue i lavori quotidiani ed anche quelli del lontano viaggio in profondità.
E’ meglio restare nel mondo esterno che lasciarlo, perché la tensione è migliore e produce una vita preziosa.
Inizialmente è dura stare con la Donna Selvaggia.
Riparare l’istinto ferito, bandire l’ingenuità, apprendere gli aspetti più profondi della psiche e dell’anima, trattenere quel che abbiamo appreso, non volgerci altrove, proclamare a gran voce che cosa vogliamo, tutto ciò richiede una resistenza sconfinata e mistica.
Il tentativo della psiche demoniaca di sorprendere l’anima è fallito. Il fatto che sia la fanciulla senza mani sia il re soffrano, attraverso l’iniziazione di sette anni, è il terreno comune tra il femminile e il maschile.
Ci comunica che, invece dell’antagonismo, tra le due forze può instaurarsi un amore profondo, specie se radicato nella ricerca di se stessi.
Clarissa Pinkola Estes, Donne che corrono coi Lupi