Candle in the Wind

Candle in the Wind

16 feb 2012

Pelle di Foca: il ritorno a Casa



In un tempo lontano lontano, perduto per sempre, i giorni sono di neve bianca, e in lontananza i minuscoli granelli sono persone o cani oppure orsi.
Qui nulla fiorisce spontaneamente. I venti soffiano tanto forte che tutti devono indossare giacche a vento, stivali e berretti. All’aperto, le parole si congelano, e intere frasi devono essere rotte sulle labbra di chi parla e disgelate accanto al fuoco, per vedere che cosa è stato detto.
Qui la gente vive nella bianca ed abbondante capigliatura della vecchia Annaluk, la vecchia nonna, la vecchia maga che è la Terra stessa. E in questa terra viveva un uomo, un uomo così solo che negli anni le lacrime avevano scavato abissi sulle sue guance.

Cercava di sorridere e di stare contento. Andava a caccia, dormiva bene, ma desiderava tanto una compagna. Talvolta, quando si avvicinava al suo kajak una foca, rammentava le antiche storie sulle foche ch’erano un tempo esseri umani, e a ricordare quel tempo restavano gli occhi, capaci di sguardi saggi, e amorosi, e selvaggi… e talvolta, sentiva così dolorosamente la sua solitudine che le lacrime scendevano lungo i crepacci del volto.
Una volta, cacciò fino a notte fonda senza trovare nulla. Mentre la Luna si levava alta nel cielo e il ghiaccio brillava, raggiunse un grande scoglio sul mare, e su quell’antico scoglio apparve un movimento di grazia eccelsa. Remò lentamente e silenziosamente per avvicinarsi, ed ecco che sullo scoglio possente danzavano delle donne, nude come il giorno in cui le loro madri le avevano partorite.
Rimase a guardare. Le donne parevano essere fatte di latte di Luna, con la pelle punteggiata d’argento come i salmoni a primavera, e piedi e mani sottili e leggiadri.
Tanto erano belle che l’uomo rimase sbalordito, mentre le onde leggere lo trasportavano sempre più vicino allo scoglio. Sentiva ora le magnifiche risa delle donne, quanto meno pareva ridessero, o era forse l’acqua intorno allo scoglio che rideva?

L’uomo era confuso perché era abbagliato. La solitudine che gli era pesata sul petto come una pelle intrisa d’acqua era in qualche modo svanita, e senza riflettere, quasi così dovesse essere, saltò sullo scoglio e rubò una delle pelli di foca che vi giacevano. Si nascose dietro uno spuntone e infilo una pelle di foca nel suo qutmguk, la giacca di pelliccia. Ecco che subito una donna chiama con la voce più bella che mai avesse udito… come quella delle balene all’alba… o quella dei lupacchiotti che ruzzolano a primavera. Che cosa andavano ora facendo le donne?
Infilavano la loro pelle di foca e una dopo l’altra scivolavano nel mare, urlando e uggiolando felici. Una no. Cercava dappertutto ma non riusciva a trovare la sua pelle. L’uomo prese coraggio e neanche sapeva perché.
Le si mostrò: “Sii mia moglie, io sono un uomo così solo”.
“Oh io non posso esserti moglie, io appartengo agli altri, quelli che vivono di sotto”
“Sii mia moglie” insistette l’uomo  “tra sette estati ti restituirò la pelle di foca e potrai restare o andartene, come tu vorrai”.
La giovane donna-foca lo guardò a lungo in volto con quegli occhi che parevano umani. Riluttante disse: “Verrò con te, tra sette estati si deciderà”.
Ebbero un bambino e lo chiamarono Ooruk. E il bambino era agile e grassoccio. In inverno la madre raccontò a Ooruk le storie delle creature che vivono sotto al mare mentre il padre tagliava a piccoli pezzi un orso con il suo lungo coltello affilato. Quando la madre portava il piccolo Ooruk a letto, gli indicava attraverso l’apertura per il fumo le nuvole e tutte le loro forme e raccontava storie di trichechi, balene, foche e salmoni, perché erano quelle le creature che conosceva.

Ma col passare del tempo la sua carne prese a seccarsi. Prima si sfaldò, poi si incrinò. Cominciò a cadere la pelle delle palpebre e caddero a terra anche i capelli. Diventò del più pallido bianco. Cercò di nascondere la sua debolezza. Ma i suoi occhi si offuscavano sempre di più e la vista le si faceva sempre più debole.
E così andarono le cose finchè una notte il piccolo Ooruk non fu svegliato da un urlo, e del tutto insonnolito si levò a sedere sulle pelli del letto. Sentì come il ringhiare di un orso, che era suo padre che picchiava sua madre. Udì un pianto come di argento tintinnante sulla pietra, che era sua madre.
“Hai nascosto la mia pelle di foca sette anni or sono, ora giunge l’ottavo inverno. Voglio che mi sia restituito ciò di cui sono fatta” gemeva la donna foca “devo avere ciò a cui appartengo”.
“E tu mi lascerai senza moglie, e lascerai il bambino senza madre. Sei cattiva”.
E il marito strappò la porta leggera e sparì nella notte.
Il bambino amava molto sua madre. Temeva di perderla e pianse fino a piombare nel sonno, per essere risvegliato dal vento. Un vento strano, che pareva chiamarlo. Saltò fuori dal letto. Udendo ripetere il suo nome si precipitò fuori nella notte stellata. Corse alla scogliera e in lontananza, sul mare agitato dal vento, scorse una grande foca argentea e irsuta dalla testa enorme, con le vibrisse che scendevano fino al petto, gli occhi di un giallo scuro. “Ooooooruk”.
Il bambino a fatica discese giù lungo la scogliera e in fondo incespicò su una pietra, no, un involto, rotolato giù da una fenditura nella roccia. “Oooooruk”.
Il bambino aprì l’involto e lo scosse, era la pelle di foca di sua madre. Sentiva tutto il suo odore. L’anima della madre lo attraversò come un improvviso vento d’estate. Si portò la pelle al volto e l’anima di sua madre attraversò di nuovo la sua.
E la vecchia foca argentea lentamente si immerse nelle acque profonde.
Il bambino si inerpicò su per la scogliera e corse con la pelle di foca che gli svolazzava dietro, e si precipitò in casa. Sua madre lo accarezzò, e accarezzò la pelle, e socchiuse gli occhi, grata perché entrambi erano salvi. Infilò la sua pelle di foca. Sollevò il piccolo e se lo mise sotto il braccio e corse verso il mare ruggente.

“Oh madre… non lasciarmi” implorò Ooruk.
Lei voleva restare con il suo bambino, ma qualcosa la chiamava, qualcosa di più antico di lei, di più antico del tempo. Si volse verso di lui con uno sguardo di terribile amore negli occhi. Prese il viso del bambino tra le mani e soffiò il suo dolce respiro nei suoi polmoni. Allora, tenendolo sotto il braccio come un involto prezioso, si tuffò in mare, sempre più a fondo, e la donna-foca e il suo bambino respiravano agevolmente nell’acqua. E scesero nuotando sempre più a fondo, fino a raggiungere la grotta delle foche dove creature di ogni genere banchettavano e cantavano, danzavano e parlavano, e la grande foca argentea che aveva chiamato Ooruk nella notte abbracciò il bambino e lo chiamò nipote.
“Come sono andate le cose lassù, figlia?” domandò la grande foca argentea.
La donna foca guardò in lontananza e disse: “Ho ferito un essere umano… un uomo che ha dato tutto per avermi. Ma non posso tornare da lui, perché se lo facessi resterei prigioniera.”
“E il bambino?” domandò la vecchi foca. “Il mio nipotino?” Lo disse con tanto orgoglio che la voce gli tremò.
“Lui deve tornare. Non può fermarsi. Non è ancora tempo che resti con noi”. E pianse. E insieme piansero.

Passarono alcuni giorni e alcune notti, per l’esattezza sette, e in quel tempo gli occhi e i capelli della donna ritrovarono l’antica lucentezza. Diventò di un bel colore bruno, ritrovò la vista, il suo corpo ritrovò le sue rotondità, e potè nuotare a suo agio. E venne il tempo di restituire il bambino alla terra.
Quella notte la vecchia foca e la bella madre del bambino nuotarono tenendolo in mezzo a loro. Risalirono, risalirono dalle profondità verso il mondo di sopra. Là, al chiarore della luna, delicatamente poggiarono Ooruk sulla riva pietrosa.
La madre lo rassicurò: “Sarò sempre con te. Tocca quel che ho toccato, i legnetti per accendere il fuoco, il mio coltello, le incisioni che ho fatto sulla pietra di lontre e foche, e io soffierò nei tuoi polmoni un vento affinchè tu possa cantare le tue canzoni.”

Più volte la vecchia foca argentea e sua figlia baciarono il bambino. Infine si allontanarono al largo e con un ultimo sguardo scomparvero tra le onde. E Ooruk, siccome il suo tempo non era ancora venuto, rimase. Passò il tempo e diventò un grande suonatore di tamburo, cantore e artefice di storie, e si disse che tutto ciò accadde perché il bambino era sopravvissuto ed era stato riportato dalle profondità del mare dagli spiriti delle foche.
Ora, nelle grigie brume del mattino, talvolta lo si vede ancora, ripiegato in ginocchio su una certa roccia del mare, mentre pare parlare con una certa foca che spesso si avvicina alla riva.
Molti hanno cercato di catturarla, ma nessuno ci è mai riuscito e’ nota come Tanqigcaq, la brillante, la sacra, e si dice che sebbene sia una foca, i suoi occhi sono capaci di sguardi umani, saggi, selvaggi e amorosi.



La foca è un simbolo dell'Anima Selvaggia. E' affettuosa e una sorta di purezza emana da lei. Così è l'anima. Si libra nelle vicinanze. Nutre lo spirito. Non fugge quando percepisce qualcosa di nuovo o insolito o difficile.
L'anima delle donne giovani o inesperte non conosce le intenzioni altrui o il potenziale pericolo. Avviene allora il furto della pelle di foca. Per lo più il furto (della grande occasione della vita, dell'amore o del proprio spirito) avviene approfittando del lato debole: per ingenuità, scarsa intuizione dei moventi altrui, inesperienza nell'immaginare il futuro, mancanza di attenzione per gli indizi presenti nell'ambiente intorno.
L'essere derubati si trasforma in un'occasione di iniziazione archetipa. Si rinforza la decisione di lottare per una redenzione consapevole, si chiarisce cosa è importante per noi, si sente la necessità di un progetto di liberazione psichica, di mettere in atto la nuova saggezza.

La perdita della pelle: lo sviluppo della conoscenza deriva dall'iniziale inconsapevolezza, seguita da un inganno e poi dalla scoperta del modo per riconquistare il potere.
Ogni donna lontano dalla sua casa-anima alla fine si esaurisce. Allora si rimette a cercare la sua pelle per resuscitare il suo senso dell'Io e dell'anima. A mano a mano perdiamo la sensazione di essere completamente nella nostra pelle.
La pelle-anima svanisce quando non prestiamo attenzione a ciò che stiamo veramente facendo, e in particolare a quanto ci costa.
La perdiamo lasciandoci troppo coinvolgere dall'Io, diventando troppo esigenti, facendoci martirizzare, lasciandoci trascinare da un'ambizione cieca, abbandonandoci all'insoddisfazione, pretendendo di essere una fonte inesauribile per gli altri, non facendo tutto il possibile per aiutarci.
Tutte le creature della terra tornano a casa. Ci sono donne che subiscono il furto a causa di rapporti con persone che non sono nella loro pelle, e talune relazioni diventano pericolose.
Ci vogliono forza e volontà per superare queste relazioni, ma lo si può fare se si torna a casa, al nucleo di sé.
Se la pelle può andare perduta per un amore sbagliato o devastante, può andare perduta anche in un amore bello e profondo. Il furto dipende infatti dal costo che rappresenta per noi.
Quel che una relazione ci prende in tempo, energia, osservazione, attenzione, cure, addestramento, presenza, insegnamento. Questi movimenti della psiche sono come prelevamenti dai risparmi psichici. E' l'andare in rosso che provoca la perdita della pelle e l'offuscamento dei nostri istinti più acuti.

Tutte noi saliamo sullo scoglio e danziamo, senza prestare attenzione. E a un tratto non riusciamo più a trovare quel che ci appartiene o ciò a cui apparteniamo. Vaghiamo un po' stupefatte. Non va bene fare scelte in un momento così, ma noi le facciamo.
Perdere la pelle è perdere la protezione, il calore, il sistema di allarme, la vita istintiva. Essere senza pelle induce a perseguire quel che si pensa di dover fare e non quello che davvero si desidera. Si segue chiunque o qualsiasi cosa impressioni con la sua forza, si diviene scherzose invece che incisive, si butta sul ridere, ci si sbarazza delle cose. Ci si ritrae dal passo successivo, dalla discesa e da un soggiorno lungo abbastanza perché qualcosa possa accadere.

L'uomo solitario: immaginiamo che l'uomo che ruba la pelle di foca rappresenti l'Io della psiche femminile. All'inizio l'Io, con i suoi appetiti, spesso prevale.
Ma a un certo punto, intorno ai trent'anni, o più spesso ai quaranta, lasciamo che sia l'anima a prevalere. Fin dalla nascita c'è il bisogno che sia l'anima a guidare la nostra vita, perché l'Io può comprendere un tanto, e nulla più. Si spaùra, vuole fatti percettibili, è solo e limitato.
L'uomo solitario del racconto cerca di partecipare alla vita dell'anima. Ma cerca di afferrarla, invece di instaurare un rapporto. L'Io ruba la pelle di foca perché, solo e affamato, ama la luce. L'anima è costretta a una relazione con l'Io. Questo crea un temporaneo arrangiamento che produrrà un piccolo spirito capace di coabitare tra mondano e selvaggio.

Lo spirito bambino: l'unione tra Io e anima produce lo spirito bambino. Questo piccolo spirito è capace di udire la voce lontana che dice: è tempo di tornare a sé.
E' il piccolo che riporta la pelle di foca alla madre e le consente di tornare a casa. E' un potere spirituale che ci incita a continuare il nostro lavoro importante, a cambiare la nostra vita, a migliorare la comunità, a dare una mano per cambiare il mondo… tornando a casa.

Inaridimento e mutilazione: in genere depressioni, noia e confusioni deliranti sono provocate da una vita dell'anima severamente ristretta.
Quando siamo ormai inaridite cerchiamo di camminare tutte bloccate, per far vedere che ce la facciamo, che va tutto bene; ma la vita è umiliata, il costo altissimo.
E' necessario un ritorno nella propria pelle, al proprio senso istintuale, a casa. E' difficile riconoscere una condizione di inaridimento se non corriamo un grosso pericolo.
Allora si sente il richiamo alla propria vera natura.

Ascoltare l'antico richiamo: la voce in sogno è considerata un messaggio diretto dell'anima. Nella storia la vecchia foca sale dal mare per lanciare il richiamo, finchè qualcosa in noi non risponde.
Il segnale parte quando qualcosa comincia ad essere troppo. Di fronte al troppo, a poco a poco ci inaridiamo, il cuore si stanca, le energie decrescono, e il misterioso desiderio di qualcosa si leva sempre più in alto. Il richiamo va seguito anche quando non abbiamo la minima idea di dove andare. Sappiamo soltanto che dobbiamo alzarci e andare a vedere. Alla fine inciamperemo nella pelle di foca.
Un soggiorno troppo protratto: la donna-foca si dissecca perché resta troppo a lungo lontana da casa. Nel racconto diventa una versione anemica di quello che fu. Non bisogna consumarsi la vita in un matrimonio, una fatica o uno sforzo inutili o poco gratificanti. Se si resta lontane da casa troppo a lungo si è meno capaci di avanzare nella vita.

Un ritorno a casa è molte cose diverse per donne diverse; molti sono i modi per tornare a casa: alcuni profani, altri divini. Rileggere passi di libri o poesie; passare qualche minuto in riva al fiume; sedere sotto il portico a rammendare qualcosa; camminare senza meta; salutare il sole che sorge; pregare; tenere in braccio un bambino piccolo; aprire le mani sotto la pioggia; contemplare la bellezza, la grazia, la commovente fragilità degli esseri umani.
Il continuo rimandare il ritorno può essere dovuto all'identificazione della donna con l'archetipo della guaritrice. Questo archetipo porta saggezza, bontà, sapienza, ma solo fino a un certo punto, oltre è d'impedimento alla nostra vita.
Per evitare la trappola bisogna imparare a dire : "Alt" e "Basta con la musica". Il fondamentale istinto selvaggio che decide "solo fin qui e non oltre, solo questo e niente più" deve essere recuperato e sviluppato.
Meglio tornare a casa per un po', anche se gli altri si irritano, che restare e peggiorare, fino a cadere a pezzi. Se non andiamo a casa quando è tempo di andare perdiamo la concentrazione.

Lo scioglimento, il tuffo: la casa è là dove un pensiero o una sensazione possono svilupparsi invece di essere interrotti o di esserci strappati perché altro richiede la nostra attenzione o il nostro tempo. Quando è tempo è tempo, anche se non siete pronte, anche se tante cose restano da fare.
Per alcune, “casa” è la ripresa di qualche impresa abbandonata. Per altre, “casa” è un bosco, un deserto, un mare; ogni donna sa in cuor suo quanto a lungo e con quale frequenza deve tornare a casa.

Respirare sott'acqua: la donna foca porta il bambino a trovare quelli che vivono sotto. Il bambino rappresenta un nuovo ordine della psiche, è un essere mediale, capace di attraversare entrambi i mondi, non è completamente Io né completamente anima, è una cosa di mezzo.
La donna foca del racconto è un'emanazione dell'anima. E' in grado di vivere in tutti i mondi, ma non può restare troppo a lungo sulla terra. Lei e il pescatore (l'Io psiche) creano un bambino che può vivere anch'esso nei due mondi, ma non può restare troppo a lungo nella casa-anima.
La donna foca, l'Io-anima, passa idee, sentimenti, pensieri e impulsi dall'acqua all'Io mediale, che a sua volta li porta a terra e alla consapevolezza del mondo esterno.
C'è anche il percorso inverso: gli eventi della vita quotidiana, i traumi e le gioie, i timori e le speranze, vengono passati all'anima, che li commenta nei sogni notturni e manda le sue sensazioni verso l'alto, attraverso il corpo.
La donna selvaggia è una combinazione di buon senso comune e di senso dell'anima. La donna mediale è il suo doppio, è di questo mondo ma può raggiungere gli angoli più riposti della psiche.

L'emersione: ma non possiamo restare sott'acqua per sempre, dobbiamo risalire in superficie. Il rimedio a questo lutto è dato dalla donna foca al suo bambino: "sarò sempre con te".
Come il bambino della donna foca, impariamo che avvicinarci alla creazione della madre anima è esserne ricolmate. Anche se si torna tra la gente, tutta la sua forza si sente nei poteri femminili di introspezione, passione e connessione alla natura selvaggia. Se manterremo i contatti con gli strumenti della forza psichica, sentiremo il suo respiro.
Ooruk resta a terra, ha la promessa. Non appena torniamo al mondo rumoroso tutto ha un aspetto leggermente estraneo. La sensazione di venire da un mondo estraneo svanisce dopo poche ore o pochi giorni. Allora passeremo il tempo nella nostra vita mondana, alimentate dall'energia raccolta durante il viaggio a casa.
Nel racconto il bambino mette in pratica la natura mediale. Suona il tamburo, canta, diventa cantastorie. Così il bambino vive quanto la donna foca ha soffiato su di lui. Allora, invece di cercare di "far durare la magia", viviamo.

L'esercizio della solitudine intenzionale: il bambino ormai grande s'inginocchia su uno scoglio e conversa con la donna foca. Questo esercizio quotidiano e intenzionale della solitudine gli consente di stare vicino a casa in modo critico, riuscendo a richiamare l'anima nel mondo di sopra per brevissimi periodi. Solitudine non è assenza di energia o di azione, ma un dono di provviste selvagge.
Come si fa a richiamare l'anima? In molti modi: con la meditazione, o nei ritmi della corsa, del canto, della scrittura, della pittura, con i riti e i rituali, con l'immobilità, la quiete. 
Tutte abbiamo uno stato mentale familiare in cui realizzare questo genere di solitudine. Bisogna spegnere tutte le distrazioni. La solitudine vive di poco: costa soltanto qualcosa in intenzione e perseveranza, ma qualsiasi tempo e qualsiasi luogo vanno bene.

Possiamo vivere sulla terra, ma non per sempre, non senza viaggi nell'acqua e a casa.  Le culture esageratamente civilizzate e oppressive cercano di trattenere la donna dal ritorno a casa, troppo spesso le si intima di star lontano dall'acqua, finchè smagrisce e si indebolisce.
Ma quando arriva il richiamo, una parte di lei lo ode sempre e va, perché si è preparata a seguirlo. Il ritorno a casa e la conversazione con la foca sono i nostri atti di innata e integrale ecologia, perché sono un incontro con l'anima selvaggia.

Donne che corrono con i Lupi- C. P. Estes

19 commenti:

  1. Un altro post femminista!!^^
    Mi mancavano...
    Leggo sempre con piacere queste storie, ricche di significato.
    La faccenda della foca subito m'ha ricordato un po' quella della sirenetta...
    ...però non è giusto che l'uomo ci rimetta, e resti da solo e ferito da una... foca monaca XD

    Moz-

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  2. eh lo so, Miki, il post "femminile" (ahahah maschilista...! XD) era pronto già da un pò, ma aspettavo il momento "giusto" per metterlo....questo è il tempo di tornare a casa! :-)

    La Sirenetta è un'altra di quelle storie che ricalcano la necessità del ritorno alla "casa-anima" di una donna (ma la cosa può essere anche buona per l'uomo, anche se in genere l'Io e l'anima maschile non hanno una grande dimestichezza con l'ascolto del proprio territorio psichico, difficilmente comprendono che devono "sintonizzarsi" con la propria anima....eppure ne hanno sentore anch'essi, quando sentono che qualcosa non va, che qualcosa dentro di sè li "chiama" ad una vita più autentica, o quando avvertono un disagio psichico che non riescono o non vogliono spiegarsi);

    ...è vero l'uomo ci rimette, ma qui l'uomo finisce per picchiare la donna-foca e non ascolta i suoi bisogni e le sue necessità, vuole tenerla prigioniera del suoi egoismi, perchè non sopporta l'idea di dover restare "solo" per qualche momento....l'uomo rappresenta l'Io conscio ed esso deve imparare a rispettare e a non bloccare il bisogno dell'anima del suo Sè selvaggio, allorquando esso chiama e richiede di compiere una discesa, di ritornare all'acqua, l'essenza della sua anima!

    Abbiamo tutti bisogno di ritornare a "casa", di tanto in tanto, per ricordarci chi siamo, da dove veniamo e di cosa abbiamo veramente bisogno: altrimenti ci inaridiamo, finiamo per affievolire la nostra antica essenza selvaggia e la relazione con l'Io-psiche viene danneggiata e falsata.

    Basta solo che l'uomo rispetti la necessità della donna-foca di ritornare, quando ne sente il bisogno, a casa sua...in quel caso non si tratterà di restare solo e ferito, ma di ritrovarla, dopo, più bella e luminosa di prima! ;-)

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  3. Però dev'essere una cosa vicendevole.
    Anzi, mo te la racconto io una storia :p

    "Un tempo c'era una donna pescatrice in cerca di ca... lore umano, infreddolita dal gelo del Polo.
    Una notte vide dei baldanzosi uomini, possenti, muscolosi, intenti a lasciarsi in bevute e canti. Li raggiunse, e notò che vicino a loro v'erano delle pelli di tricheco.
    Ne prese una e se la mise indosso per non sentire freddo mentre osservava compiaciuta questi uomini che si divertivano parlando di calcio, ruttando, bestemmiando, bevendo e mangiando come porci: una cosa che lei, timida pescatrice, non aveva mai fatto e che invidiava moltissimo, essendo come tutte le donne affetta dal complesso di castrazione :p

    Poco dopo quegli uomini ripresero ognuno la sua pelle di tricheco, vi scivolarono dentro, e si gettarono in acqua. Soltanto uno non trovò più la pelliccia: l'aveva indosso la pescatrice.
    L'uomo la richiese indietro, ma la donna, egoista, gli chiese di restare sette anni con lui, per amore. E gli disse anche che dopo quel tempo gli avrebbe reso la pelliccia.

    L'uomo non si lasciò ingannare dalla donna, che le provò tutte: mentì dicendo che era brava a cucinare, mentì dicendo che avrebbe passato la sua vita a stirare, lavare, pulire (e invece sognava una carriera). Arrivò anche a spogliarsi e a mostrare al giovane le sue grazie.
    Infine, l'uomo cedette.

    La coppia ebbe una bambina. Manco a dirlo, per colpa della madre fu lasciata a diverse baby sitter se non alla nonna, l'acida suocera di lui.
    Ma l'uomo, più passavano le lune, più perdeva voglia e gioia di vivere, consumato dall'avidità della pescatrice, che era sempre più assente in casa, viaggiava e stava fuori per lavoro, lo tradiva persino.
    Una notte la bambina, di nome TaylorForrester (nome derivante dalla passione della mamma per le soap), si alzò di colpo a causa delle grida e delle urla. Suo padre era infuriato perché aveva scoperto i tradimenti della moglie, che tra l'altro non voleva restituirgli la pelle di tricheco nonostante fossero passati sette anni.
    La donna prometteva ripetutamente che sarebbe cambiata, che amava solo lui, che sarebbe stata presente in casa. Che avrebbe smesso di guardare Beautiful per seguire La Prova del Cuoco così da poter preparare al maritino uno di quei piatti deliziosi che mancavano da troppo sulla tavola, sempre più triste a causa dei soliti maccheroni con formaggio e burro.

    TaylorForrester restò molto male nell'osservare il litigio, scappò via e trovò la pelle di tricheco del padre.
    Il padre le fu molto grato, ma la mamma era già andata dal giudice che affidò la bimba proprio a lei.
    Al padre non restò che tornarsene nell'oceano, maledicendo per sempre questa avventura... "

    Ecco, potrebbe essere anche così: l'uomo ci rimette ma almeno raccontiamo IL PERCHE' :p
    ahahaha XD

    Moz (sempre dalla parte degli uomini!)-

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  4. massì Miki, come dicevo prima, il racconto è applicabile anche alla psiche maschile....solo che la storia indica le diverse parti psichiche di una stessa persona, in questo caso parliamo di psiche femminile:

    riguardo alla tua triste ed ironica storia, penso che non esiste il "cattivo" ed il "buono": esiste chi è innamorato e chi non lo è (o non lo è più);
    per il resto, uomini o donne siamo tutti uguali......quando siamo innamorati siamo pronti a donare tutto ed a rimetterci! ;-)

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  5. Ehi, spero si sia capito che era giusto per scherzare^^

    Comunque hai ragione: quando siamo innamorati siamo pronti a tutto, e a perdere tutto!!^^

    Moz-

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  6. Post veramente molto impegnativo. Me lo son lasciato per questa sera, per leggerlo in tranquillità. Un post un po' donnacentrico potrei affermare, con un pizzico di femminismo, ma è piacevole nel messaggio.

    Ognuno in questo racconto ci vede quello che può e che sa vedere, perché ripeto, è un post di difficile comprensione, infatti la spiegazione è servita molto.

    Io dalla vita non cerco l'assurdo, il massimo, perché tanto ne sarei deluso, bensì cerco la tranquillità, tutto qui, niente di più che una tranquillità economica e magari sentimentale. Mi è piaciuto molto questo passo: 'il leggere passi di libri o poesie; passare qualche minuto in riva al fiume; sedere sotto il portico a rammendare qualcosa; camminare senza meta; salutare il sole che sorge; tenere in braccio un bambino piccolo; aprire le mani sotto la pioggia; contemplare la bellezza, la grazia, la commovente fragilità degli esseri umani.' - Ecco, io sono racchiuso in questo passo qui, non cerco altro che la tranquillità, piccole cose che però mi facciano star bene. Ghermirò mai la mia amata e personale tranquillità? Questo non lo so.

    Ispy

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  7. caro Ispy....col tempo ognuno di noi comprende qual è il suo modo di tornare a "casa", al porto sicuro dell'anima in cui ristorarsi, per immergersi nelle acque profonde della propria identità....così ognuno di noi impara a compiere quel "rito" personalissimo nel modo che gli è più consono: io ritrovo me stessa nel silenzio, con una passeggiata solitaria tra i campi o insieme ai miei cani, oppure cantando o ascoltando la mia musica del cuore, se proprio non posso stare a contatto con la Madre Terra che amo più di tutto... che dire?

    mi piace la tranquilla semplicità del tuo animo; sono sicura che saprai sempre trovare la strada verso casa... :-)

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  8. In questo senso io ho un problema... perché, anche fisicamente, ho due case.
    Potete immaginare una vita tipo Due Facce XD

    Moz-

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  9. ahahah allora sei destinato a vagare tra l'una e l'altra, senza sapere mai quale scegliere!!!! XD

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  10. E' ciò che è la mia vita ;)
    Sono l'eterno indeciso, oltre ad essere l'eterno dodicenne XD

    Moz-

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  11. Sull'eterno indeciso spicco anche io, non ci sono dubbi su questo!! ^^

    Io riesco a cambiare opinioni ed idee da un giorno all'altro, quindi non solo non riesco a fidarmi delle persone, ma non mi fido neanche di me stesso - Battiato cercherebbe un centro di gravità permanente, in cui non cambiare opinioni sulle cose e sulla gente, ed io mi trovo come lui.

    Ispy

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  12. Bhe, io non così drastico... ho delle idee che sono sempre quelle, e mi fido di me stesso e anche degli altri, anzi forse mi fido TROPPO XD

    Moz-

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  13. ahahahah Miki Ispy di che state parlando? ^_^

    ah l'indecisione, che brutta bestia...anche io ero "indecisa" fino ad un annetto fa, ma mi rendo conto che era una scusa per non accettare quello che già, in fondo, sapevo di (non) volere!

    adesso che non ho più 12 anni, so esattamente qual è il mio "centro di gravità permanente";
    adesso lo so ogni giorno, eh sì sono molto fortunata......era meglio non saperlo!!! XD

    Miki non mi dai l'impressione di essere uno che si fida TROPPO degli altri......mi sembri così equilibrato!!! :-P

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  14. Scarlett, in realtà tendo a dare molta fiducia al prossimo (certo, se vedo uno con uno spacco sulla faccia, catena d'oro e pistola... no!^^) ma in generale mi fido molto degli altri, degli amici e dei conoscenti.
    Capita che poi questi (magari non gli amici stretti) facciano qualcosa che mi colpisca in negativo, e allora da lì rimetto i paletti, diciamo così :)

    Secondo me invece va benissimo sapere qual è il centro di gravità permanente... ma ogni tanto è anche bello fare due passi sulla Luna, dove la gravità è più blanda :)

    Moz-

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  15. ahia......quando inizi un commento scrivendo "Scarlett", significa che non si scherza più!!! ;-)

    sì è vero, hai ragione.....ma considera che il mio "centro di gravità permanente" è proprio la Luna..! ^_^

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  16. Ahahaha non lo faccio apposta a scrivere Scarlett con quell'intenzione, anzi... l'ho messo per far capire che mi riferivo a te visto che c'era anche altra gente in ballo XD

    Beh, se come centro di gravità permanente hai la Luna, è una bella cosa...!^^

    Moz-

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  17. Miki sì per me è una bella cosa, anche se vorrei che fosse il Sole;
    ma in mancanza di luce devo essere per forza IO, il mio centro di gravità permanente! ^_^

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  18. Cara mia, sai bene che il Sole è già occupato da me :)

    Moz-

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    1. ahahahahah bene, è deciso allora! il Sole va te che sei tanto solare e Luna va me che sono sotterranea! ;-)

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